San Saviano dei Miracoli

ovvero: Una cosa divertente che non farò mai più #3

La prima volta che ho letto Gomorra era il maggio del 2006. Ero stagista in una casa editrice locale mediamente nota, e per una serie di coincidenze della vita mi vidi affidata la redazione di un volume di 500 pagine sulla questione meridionale ad opera di un anziano professore marchigiano. L’autore, un gentiluomo d’altri tempi (alla fine del lavoro mi spedì pure un foulard di seta per ringraziarmi), due giorni prima di mandare tutto in stampa aveva deciso di inserire in bibliografia alcuni volumi, tra cui proprio Gomorra. Un ritardo nella lavorazione piuttosto fastidioso, per cui lo chiamai per chiedergli se fosse davvero, ma davvero necessario. Mi rispose: “Lo legga”.Lo lessi. E mi folgorò. Non tanto per i fatti (in fondo erano tutte cose che più o meno si sapevano già), quanto per il modo in cui erano raccontati. Questo ragazzo di (all’epoca) 27 anni ci sapeva fare, aveva quell’occhio fotografico per il dettaglio che porta il lettore dentro alle cose più di numeri, statistiche e dati. Pur diffidando del caso letterario che già stava montando (nessuno pubblica la sua opera prima con Mondadori per una pura botta di culo), cominciai, come tutti, a parlare di Gomorra a chiunque, a consigliarlo, a prestarlo. Ringraziai il professore per la dritta.

Sono passati gli anni, da Gomorra è stato tratto un film (il che, ve lo dico, non vi autorizza a non leggere il libro, anzi) e il giovane cronista è diventato Roberto Saviano, l’eroe costantemente sotto minaccia della camorra, il martire che è costretto a una vita da fuggiasco e sotto scorta per amore della verità. Di più, che tramuta in verità tutto ciò che tocca; e scatena intorno a sé un fanatismo che trova eguali solo nel rock e nelle religioni.

Non mi ha sorpreso, ieri, vedere centinaia di persone in coda per ore fuori dalla Feltrinelli di Bari, nella speranza di conquistare un posto all’interno solo per sentirlo parlare; mi hanno sorpreso però i gridolini, la ressa, le ragazzine che spingono, cercano di passare avanti nella coda e minacciano di piangere per tre giorni se non riescono ad entrare (vi giuro che ho sentito anche questo). Mi ha sorpreso e atterrito l’urlo di gioia collettivo all’annuncio che “con un po’ di pazienza, tutti quelli che sono all’interno avranno il loro autografo”, mi hanno fatto paura tutte quelle persone che erano lì non per ascoltare cosa quest’uomo avesse da dire, ma per prendersi un pezzetto di lui, per toccarlo come si fa coi santi, per portarsi una reliquia a casa. E che per ottenere il loro scopo sembravano disposte a calpestare tutto, compresi i libri, in barba al valore eroico della parola che Saviano predica da sempre e che anche ieri sera ha ribadito. “Menomale che c’ha la scorta, se no stasera lo ammazzano i fans, altro che la camorra”, ho pensato.

Code fuori dalla Feltrinelli di Bari in attesa che cominci la presentazione di Roberto Saviano

Per ascoltare Saviano, che parlava alle nove, Adele ed io ci siamo messe in coda alle sette meno venti, e già c’era un sacco di gente davanti a noi, tanto che eravamo quasi certe di non entrare. Invece, sorpresa, ci siamo ritrovate dentro. Guardandoci attorno, ci siamo meravigliate di vedere tanti, tantissimi liceali, e pochi nostri coetanei. I trentenni sono forse insensibili al mito di Saviano? No, penso più che altro che siano intolleranti all’aura di divismo che lo circonda; noi stesse, in coda, abbiamo mal sopportato la ressa, gli spintoni, il caldo, e abbiamo resistito solo per dovere di cronaca e, per quanto mi riguarda, bieca testardaggine (non cedere il mio posto in fila alle “groupies” che spintonavano da ogni lato era diventato quasi un fatto di principio). Eppure, alla fine, siamo state contente di essere entrate a sentirlo. Personalmente, mi sono piaciute molto la sua idea di librerie come “luogo sovversivo” e la sua strenua difesa della parola come arma contro le ingiustizie dei poteri forti; una difesa non retorica, ma argomentata con esempi tratti, una volta tanto, non dalla propria esperienza ma da quella di persone la cui grandezza è stata proprio nell’esigenza di raccontare la verità. E sì, certo, che “parole e idee possono cambiare il mondo” l’abbiamo già sentito nell’Attimo Fuggente, ma di questi tempi ricordarlo non fa certo male.

Premesso quindi che a me l’intervento di Saviano è piaciuto, a latere mi chiedo: cosa fa di Roberto Saviano un santo? Ipotizzo: il fascino del giovane che sacrifica la sua libertà per un ideale, la sua condizione di “morto che cammina”, per dirla con un’espressione un po’ forte. E vorrei che non fosse così. Provocatoriamente parlando, i tre quarti della classe politica vive sotto scorta; Berlusconi stesso vive sotto scorta. Da questo punto di vista, anche lui avrebbe ben donde (del resto lo fa) di lamentarsi perché non ha più diritto ad una vita privata, è costantemente in pericolo di vita, esposto alle calunnie dei suoi detrattori, criticato per ogni piccolezza; ma nessuno che sia un minimo raziocinante si sognerebbe mai di dirgli “poverino, è un martire”.  Mi si dirà che Berlusconi ha scelto la vita politica sapendo ciò che comportava; ma anche quella di Saviano è una scelta, nessuno meglio di lui conosceva i rischi del suo lavoro. Mi si dica piuttosto che il modello morale che Saviano propone è di caratura ben diversa da quello che offre Berlusconi (eppure saremo costretti ad ammettere che molti dei fans di Berlusconi non sarebbero comunque d’accordo).

Roberto Saviano, durante la presentazione alla Feltrinelli di Bari

La mia è una provocazione, è ovvio, non voglio assolutamente mettere a paragone Saviano e Berlusconi. Ma il fanatismo che circonda Saviano è l’altra faccia della venerazione che circonda Berlusconi: una ammirazione incondizionata, che non conosce razionalità, non ascolta le parole, non bada alle idee. Una santificazione, a mio avviso, pericolosissima.

Eppure l’ha detto anche Roberto, ieri sera: “Le parole fanno paura, perché sono rivoluzionarie”.

E allora ascoltatele, queste parole, che son parole belle e giuste. Le rivoluzioni si fanno con le idee e con i fatti, non con i miracoli.

7 pensieri su “San Saviano dei Miracoli

  1. le groupie, quanto è vero, hanno lasciato perplessa anche me…
    sarà l’alone di mistero?! sembrava che ci fossero i beatles ai tempi d’oro.
    io c’ero, e pensavo ci sarebbe stato un dibattito dopo, non so un botta e risposta…che si fa sempre quando viene un autore! il mettere gli autografi non lo giustifica ne lo affossa, però a me è sembrato che lo usassero come un pupazzo.
    per di più avevano messo la scatola sul palchetto degli elenchi che noi comuni mortali potevamo lasciare, e pensavo ne leggesse qualcuno…ahimè nada de nada.
    dobbiamo accontentarci, oppure? chissà

    • Infatti, V! Lui è stato molto carino e disponibile a fermarsi fino a tardi per firmare gli autografi a tutti (molti autori non lo fanno), ma sono sicura che in tanti avrebbero volentieri rinunciato alla sua firma in cambio di un minimo di dibattito… magari, perché no, a partire dagli elenchi del pubblico (forse ancora meglio sarebbe stato dare la possibilità di imbucare nelle urne le domande per lui).
      Però siccome è pure vero che a posteriori le grandi idee vengono a tutti 🙂 , onore al merito dell’organizzazione, che di sicuro avrà avuto un bel po’ di problemi per gestire un evento del genere!

  2. ci piace molto questo post! sarà l’età, ma il divismo ci infastidisce anche se il soggetto delle attenzioni è saviano ..
    ci piace molto quello che dice, gli ideali che porta avanti e tutto, inzom’ niente da criticargli, ma come hai giustamente ricordato tu nessun pubblica la sua opera prima con mondadori per botta di culo..
    baci cara
    p.s. i tuoi post sono sempre fantastici:)

  3. Pingback: Il Livoroso, le Groupie e io. | La sindrome di standby

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